Devergo

“Gutta cavat lapidem”, la goccia scava la roccia; così scrivevano Lucrezio,  Ovidio, Aldo Tibullo, e molti altri autori classici che se nelle loro ambizioni prefiguravano tramite essa, forse,  una letteraria immortalità, di sicuro erano totalmente inconsapevoli che un giorno, secoli e secoli dopo, quella loro frase sarebbe stata utilizzata come tema per un concorso teso alla progettazione di un lavabo in pietra. Del resto chi mai potrebbe smentire l’attinenza  e  l’oggettiva accostabilità della locuzione latina all’obiettivo che il bando in oggetto si pone: l’immagine evocata è calzante, confacente, sovrapponibile, “DIRETTA E CONVERGENTE”… ma è altrettanto chiaro che si possa andare oltre il suo significato letterale, che essa sottenda un percorso differente da quello che inizialmente appare l’unico possibile, che possegga un messaggio più profondo, allusivo e nascosto, “LATERALE E DIVERGENTE”: essa esorta a rammentare che con la dedizione e la volontà tutti possono conseguire obiettivi apparentemente e comunemente ritenuti impossibili.

Questa la “dualità” che ci ha guidato nelle scelte progettuali, questo il concetto che abbiamo cercato di inverare e trasformare in un “oggetto” che, secondo il nostro concetto di design, fosse esteticamente valido, funzionalmente rispondente, formalmente originale, tecnologicamente avanzato, ma soprattutto “vivo”, capace cioè di rendere quanto poc‘anzi elencato fruibile nella quotidianità, capace di stabilire una relazione esperenziale con le persone che lo utilizzeranno, con le cose che lo circonderanno, con i luoghi che lo ospiteranno.

L’idea è dunque quella di un prodotto che possegga una serie di requisiti fisici i quali permettano nel contempo tanto un riamando diretto al significato recondito dell’allegoria di latina memoria, quanto, salendo ad un livello superiore, a quel “pensiero divergente” di Guilfordiana memoria che, discostandosi dalla soluzione più semplice e diretta, permette di giungere ad un’accezione differente ed implicita dello stesso testo. Ed è proprio sul termine “devergente”, o divergente che dir si voglia, che si è focalizzata la nostra attenzione; sulla cospicua e ricca possibilità vocativa che esso, alla luce di quanto detto, possiede, sul rimando grafico e formale a cui esso allude, sulla completezza delle risposte che esso da rispetto alle nostre richieste.

Braccio e mente, sudore e pensiero; lo scalpellino prima, la macchina poi, infine l’elaboratore elettronico; con sapienza ed abnegazione l’uomo poco alla volta acquisisce la capacità di trasformare la roccia, di modificare ciò che per luogo comune e popolare acclamazione rappresenta la durezza, l’immobilità. La pietra si allunga, si tende, si curva; lievemente si stacca, muove in direzione diversa, DEVERGE. Non è più rivestimento ma pelle;  si integra con l’intorno, si fonde con il confine: è boiserie, è parete, è parte del tutto e tutto con se porta. E così delicatamente si allontana, si inclina e con lei il muro; il muro si piega, si rompe, si apre: un varco alto e sottile si inonda di luce. Non più semplice oggetto che si colloca nello spazio, ma architettura che si fonde con esso, che lo divide, che lo pervade, che lo crea.

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